Uno dei calciatori di maggior talento, che la Palmese ha avuto il privilegio di ingaggiare, è stato Carmelo Buonocore.
Originario del casertano, esattamente di Capua, dove nacque il 19 febbraio 1912, giunse a Palmi direttamente dai siciliani della Peloro con i quali, esordendo appena diciassettenne, vi rimase ininterrottamente per quattro stagioni. Con la Palmese, che si stava accingendo a disputare il suo primo campionato in assoluto di terzo livello (la PRIMA DIVISIONE 1933-34), ricoprendo il ruolo di terzino destro si mise in risalto per le sue doti atletiche e, nonostante le proiezioni offensive non fossero la sua prerogativa, riuscì anche a siglare una rete. Al termine di quel campionato, nel quale, tra l’altro, risultò il migliore interprete nel suo ruolo, ritornò nuovamente in Sicilia approdando al Messina che, nel 1935-36, guidato da Angelo Mattea centrò uno storico quarto posto.
Trascorsi altri due anni al di là dello Stretto, nel 1936-37, giunse il grande salto nella massima serie con l’Ambrosiana Inter, dove fu battezzato “la stella del Sud”, venendo, anche, accostato al grande Eraldo Monzeglio. Con la compagine meneghina (la foto, risalente alla stagione 1938-39, lo ritrae a difendere Locatelli da un attacco del torinista Ferrari) vi rimase sette stagioni (prendendo parte anche alla COPPA DELL’EUROPA CENTRALE) riuscendo a vincere due tricolori intervallati, nel 1938-39, dalla conquista della coppa nazionale. Edizione del torneo al quale vi prese parte, per la prima e unica volta nella storia, anche la sua ex squadra… la Palmese.
Terminata la felice esperienza con i meneghini che lo portò a scendere in campo centocinquantotto volte (la prima delle quali in terra piemontese contro il Novara dove, il pomeriggio del 20 settembre 1936, l’undici di Armando Castellazzi si sarebbe imposto 3-5 grazie a un Giuseppe Meazza letteralmente incontenibile), nonché a vestire la maglia azzurra della nazionale B in due occasioni, scese di categoria approdando al Lecco e, a due anni dalla conclusione del secondo conflitto armato, lasciò il calcio giocato appendendo per sempre le scarpe al chiodo.