C’era un tempo nel quale nel campionato più bello e più difficile del mondo chi arrivava nelle posizioni immediatamente a ridosso della squadra campione d’Italia giocava la sua onesta Coppa U.E.F.A. (la Coppa dei Campioni era un passo troppo grande per poterci andare non da campioni...) e l’anno venturo (si giocava rigorosamente il mercoledì e in chiaro) se andava male usciva ai trentaduesimi di finale contro il Las Palmas, la Honved (lontanissima parente della Honved dei tempi d’oro) o contro la Dinamo Tbilisi senza dramma alcuno e chi, invece, vincendo la Coppa Italia (non quella con l’attuale formula ma quella che permetteva di scrivere pagine epiche a squadre come il Campobasso, la Sambenedettese o il Taranto), giocava in Coppa delle Coppe. Bella competizione riservata alle vincitrici delle coppe nazionali da tempo accantonata (la prima a vincerla fu la Fiorentina) che ha nel Barcellona la squadra più decorata.
Da una trentina d’anni a questa parte tutto è iniziato poco a poco e inesorabilmente a cambiare in peggio e i posti che prima permettevano l’accesso alla Coppa U.E.F.A. (mutuata poi in Europa League) son via via diventati preda della nuova Coppa dei Campioni (la Champions League) le cui squadre qualificate vengono spesso trascinate (si trascinate…) in quella Nobil Europa (oggi meno nobile) dopo un cammino che sarebbe da Coppa dell’Amicizia (coppa tra il serio e il faceto giocata molti anni addietro vinta, tanto per citare la più importante, dalla Juventus a spese del Real Madrid) e se si va in Europa League (non parliamo se si va in Conference League) è un dramma (economico).
A tal proposito ecco cosa disse qualche anno fa nel corso di un’intervista l’ex allenatore Giovanni Ballico (bandiera della Sampdoria nel periodo post bellico) recentemente scomparso all’età di 98 anni “peccato che gli sponsor, la televisione e i troppi soldi che girano abbiano un po' guastato il gioco più bello del mondo”. E il punto è proprio questo perché il calcio di oggi si regge ormai sempre più sul denaro mentre ai tempi dello stesso Ballico e più avanti ai tempi di: Facchetti, Mazzola, Rivera, Boninsegna, Riva, Zoff, Furino, Maradona, Platini, Gullit, Van Basten, Altobelli, Zico, Scirea, Baresi... (se si continua si rischia di far diventare l’attuale Serie A poco più che una Serie C)... era ancora lo sport che ereditava l’unica ragione voluta da coloro che ne scrissero le prime regole (le Sheffield Rules di Creswick e Prest redatte nella lontana Sheffield nella seconda metà del XIX secolo) totalmente sovvertite per mandare in scena uno spettacolo tutto corsa e con poca tecnica (al piattume si sono adeguate le trasmissioni sportive, alcune parlando di calcio h24 per raccontare non si sa che, ma anche la gran parte dei giornalisti e dei telecronisti… urlatori senza senso) il cui riflesso (qui le colpe sono anche della babele di stranieri) è una misera nazionale, che dello spirito italico ha ben poco, che fa rima con... Scalvini, Pessina, Gnonto, Grifo, Pafundi, Politano, Retegui e Scamacca (onesti calciatori che ai tempi belli navigavano tra le categorie dilettantistiche e la Serie C).
Piaccia o non piaccia è questo il calcio di oggi. Un calcio con un eccesso di partite che han fatto perdere la bellezza di quelle spensierate domeniche pomeriggio dove si era incollati alla mitica radiolina (magari seguendo dal vivo la squadra del tuo piccolo paese) ad ascoltare (con quell’inconfondibile scusa Ameri a te Ciotti) le gesta di quegli indimenticabili “artisti del pallone” che qualche ora dopo (quasi d’incanto) comparivano sul piccolo schermo quando partiva il bel 90o minuto condotto dal grande Paolo Valenti con i simpatici e coreografici inviati dalle varie sedi: Tonino Carino, Beppe Barletti, Giorgio Bubba, Cesare Castelotti, Luigi Necco, Gianni Vasino, Ennio Vitanza, Marcello Giannini, Franco Strippoli, Ferruccio Gard… a raccontare ogni singola partita con una pacatezza mai più vista. Interpreti, assieme agli “artisti del pallone”, d’un calcio che faceva rima con pallone.
Un calcio oggi tristemente lontano ma che, per chi ha avuto il piacere di viverlo, è l’unica ragione che permette ancora di seguirlo al fianco della squadra del cuore ereditata in quell’età fanciullesca nella quale si era più felici nonostante nelle coppe europee (quando ci si qualificava) la corsa terminava prima di iniziare, nella coppa nazionale la figuraccia contro una piccola era sempre dietro l’angolo e nel campionato più bello e più difficile del mondo inciampavi in riva al lago di Como (senza fare un tiro in porta), in terra avellinese (con i lupi a prenderti letteralmente a pallate) o in terra calabrese col Catanzaro del presidentissimo.