Il calcio è nato e iniziato dalle strade ed è proprio tra le piazze e i marciapiedi di cemento che molti ragazzi sognavano di poter, un giorno, giocare al fianco di quei campioni che apparivano tanto lontani e irraggiungibili. Michele Sorace appartiene a quella generazione di sognatori e a partire dalla sua città natale, Polistena, è riuscito con tanto lavoro e sforzo a vestire le maglie di squadre importanti, come Reggina e Ragusa: “Quando ero un ragazzo l’unico svago che avevamo a livello sportivo era proprio il calcio. A differenza di quanto accade oggi non esistevano scuole che ci potessero insegnare le basi, noi giocavamo anche scalzi per strada."
In quegli anni questo sport era capace di riunire un’intera comunità e di eliminare ogni divario sociale: “Ricordo che all’epoca, a Polistena, il calcio rappresentava una forma di aggregazione per tutti. La nostra figura di riferimento era il grande Elvio Guida, una persona dotata di grande carisma e di valori importanti che aveva fatto dello sport un momento di condivisione per ognuno”.
A Polistena, Sorace ha modo di confrontarsi e crescere al fianco dei campioni dell’epoca. La sua passione e il suo carattere forte gli permettono di andare avanti senza passare inosservato: “Io e mio fratello Giuseppe abbiamo iniziato con le giovanili e il giovedì eravamo soliti allenarci insieme alla prima squadra. Ricordo che in una partita “Carletto” Marino, un attaccante davvero forte, mi diede una spallata per fermarmi. Mio padre, dalla tribuna, mi fece capire che dovevo restituirgliela e, io, che ero un battagliero, gli ho ricambiato il favore con un’entrata in ritardo”.
Fino a quel momento giocare in prima squadra sembrava essere soltanto una fantasticheria, ma quel sogno che Sorace aveva ben custodito nel suo cassetto era destinato a non restare tale: “Una mattina, inaspettatamente, ricevetti una chiamata da Guida che mi chiese di raggiungerli perché ero stato convocato in prima squadra. Io, che avevo sempre visto quei calciatori come delle icone, contenevo a stento l’emozione e ricordo l'imbarazzo nel sedermi a tavola con loro. Il calcio per me era tutto e in quel momento si era coronato un sogno. Al mio esordio, il duca Riario-Sforza, che all’epoca era presidente, venne da me e mi disse: «ricordati che sei il più forte». Queste sensazioni non riesci a dimenticarle, fanno parte del tuo percorso di vita.”
Sia Michele che Giuseppe Sorace, vengono entrambi selezionati per i tornei nazionali e questa occasione rappresenta per entrambi l’inizio di una nuova avventura nella Reggina. Dopo un anno in primavera arriva la tanto attesa chiamata per la prima squadra che all’epoca militava in Serie B: “La sensazione più bella era poter percepire l’orgoglio delle persone a Polistena e soprattutto ricordo l’emozione e la gioia di mio padre mentre guardava i resoconti delle partite di Serie B in televisione. Il mio caso era un po’ particolare perché la domenica giocavo davanti allo sguardo di migliaia di persone e poi la sera, appena rientrati dalla trasferta, io e mio fratello facevamo ritorno a Polistena. Lì, il contrasto era enorme perché la mattina alle 5 eravamo svegli e aiutavamo mio padre con il suo lavoro. All’epoca c’era una cultura di vita diversa e lo sport in questo senso è anche formativo a livello personale.”
Gli anni a Reggio sono stati per Sorace tra i più indimenticabili: “La sensazione che si provava quando si entrava in campo era spettacolare. Dal sottopassaggio, a piccoli passi, si iniziavano a scorgere tutti i dettagli e pian piano si prendeva visione dell’intero campo fino al boato della gente. Ricordo i derby contro il Messina per la grande partecipazione e poi durante una di queste gare ho avuto la soddisfazione di indossare la fascia di capitano. Un altro ricordo che ho risale ad una partita che, purtroppo, non andò bene perché sancì la nostra retrocessione. Io, che vivevo per quella maglia, scoppiai in lacrime. Iacopino si avvicinò, mi abbracciò e anche lui si mise a piangere.”
Dopo un periodo trascorso nella Juve Stabia allenata da Gianni Di Marzio, Sorace fa rientro a Reggio Calabria, per poi approdare al Ragusa. Lì, disputerà due campionati di Serie D e nel 1977-78 uno di Serie C. Con la maglia azzurra, la gara più difficile fu sicuramente quella che vide il Ragusa scontrarsi contro la Reggina, in un derby di cuore per Sorace: “Quella partita la ricordo con particolare emozione perché trovarmi di fronte alla squadra che mi aveva formato non è stato facile. Tanta era l’emozione che sbagliai anche un goal.”
Dopo una breve parentesi a Terranova e Canicattì, Sorace fa ritorno in Calabria vestendo la maglia della Gioiese, allenata dal grande Scoglio: “Ero solito chiamarlo Prof, c’era davvero tanta stima tra di noi. Era un allenatore all’avanguardia, tutti i concetti calcistici che ha portato in Serie A li aveva sperimentati prima con noi. Riusciva ad entrare nella testa di ognuno e interpretava ciò che dovevamo fare. Ricordo che il mio compito, come diceva lui, era quello di fare la partita nella partita, perché a me toccava recuperare la palla, ripartire e guidare la squadra. Mi diceva sempre che un pallone a metà era sempre un pallone mio, perché se la palla si trova in bilico e non riesci a prenderla significa che non hai il giusto carattere”.
Chi ama il calcio lo sa: si fa tutto pur di vincere. Spesso, però, è necessario qualcosa al di là del possibile umano e c’è chi la fortuna, in qualche modo, se la va a cercare. Il calcio, infatti, pullula di rituali propiziatori che tifosi, allenatori e giocatori usano per conquistare la Dea Bendata. Trapattoni nel Mondiale 2002 fu sorpreso a versare acqua santa in campo, mentre Bruno Pesaola era solito ascoltare il suo disco portafortuna prima di ogni gara. Durante la sua carriera, Michele Sorace ha avuto modo di constatare quanto questi rituali nel calcio siano di uso comune: "A Polistena le gare erano vissute con davvero tanta passione e scrupolosità che si diventava anche scaramantici. Ricordo che prima di ogni partita veniva replicata sempre la stessa canzone “I Watussi” come una sorta di inno. Negli anni a Gioia Tauro, un giorno successe che Scoglio prima di una partita mi chiese dello shampoo. Poi, dal momento che quella gara andò bene, divenne un rituale chiedermelo sempre ad ogni match. Alla fine, in occasione di una trasferta decisi di regalargli una confezione da 2 litri. Fu un momento esilarante”.
Michele Sorace incarna l’esempio di un ragazzo che è riuscito a realizzare i propri sogni, dimostrando che il calcio prima di ogni cosa è una scuola di vita: “Grazie a questo sport sono maturato molto a livello personale e molti dei valori che ho sono imputabili proprio al mio percorso calcistico. Confrontarmi con calciatori che io consideravo dei veri e propri idoli, mi ha fatto capire che dietro ogni persona c’è tanta umanità. La cosa importante è essere umili, perché è costruttivo sia per quello che recepisci che per ciò che trasmetti”.